La storia

San Ginesio è un castello medievale e insieme un orizzonte. Il giallo oro della sua pietra arenaria, che compone le case, le torri, la cinta muraria, i palazzi, è come se traesse il suo senso dall’azzurro dei monti Sibillini, che da sempre ne custodiscono la bellezza. La storia e il destino di questo paese, nato quasi per caso nella parte più alta del colle Esculano a cavallo tra il X e l’XI secolo, sono lì, nell’irrequieto convivere di concretezza e altitudine, ruralità e impegno intellettuale.
Al viaggiatore San Ginesio impone fin da subito la sua identità forte, il suo passato di potenza e grandezza.

La prima immagine, che è come un marchio a fuoco sia per chi a San Ginesio entra per la prima volta sia per chi ne è parte, è quella di una porta, Porta Picena, che con il suo arco interrompe il maestoso correre delle mura castellane, ancora imponenti e praticamente integre.
Correva l’anno 1308 quando iniziò la costruzione della cinta muraria che avrebbe difeso per secoli San Ginesio dalle mire dei popoli vicini, in particolare del temibile castello di Fermo. E ci vollero 150 anni perché l’opera fosse compiuta: una cinta tutta intorno al castello con otto Porte, di cui quattro (Alvaneto, Ascarana, Offuna e Picena) ancora intatte. Quell’arco consegna allo sguardo un altro squarcio di storia: l’Ospedale dei pellegrini o di San Paolo (fine XIII secolo), con i suoi due eleganti ordini di archi in pietra, una delle domus hospitales che davano riparo ai pellegrini in cammino verso Roma o Loreto.
Risalendo strade e vicoli, verso la piazza centrale, storia e arte si compenetrano. La seconda immagine ha uno sfondo, la facciata della chiesa più importante, la Collegiata (1098), e un primo piano, il profilo della statua di Alberico Gentili (San Ginesio 1552-Londra 1608), grande giurista intellettuale umanista, padre fondatore del diritto internazionale, che respirò queste pietre e questi monti. I colori sono il rosso, di cui si accendono al tramonto le pietre di quella facciata dall’austera base romanica sovrastata da un polittico di pietra (unico esempio di gotico fiorito nelle Marche, plasmato nel 1421 da Enrico Alemanno), e il grigio scuro della statua di Gentili, solitaria e riflessiva.
Muovendo lo sguardo intorno, sullo spazio un tempo occupato dal Palazzo Defensorale, si può scorgere il teatro Giacomo Leopardi. Un gioiello dell’800, che risplende però di una luce risalente a molti secoli prima: nel 1547 un anfiteatro in legno completamente coperto dominava la piazza e richiamava spettatori da molti paesi intorno. Lo stesso San Ginesio, d’altronde, è il patrono dei mimi e degli attori. Proseguendo in altre direzioni, a tutto tondo, si scoprono la Pinacoteca Scipione Gentili, con Simone De Magistris, Vincenzo Pagani, uno “Sposalizio di Santa Caterina” attribuito al Ghirlandaio, il Quadro di Sant’Andrea (o della battaglia tra Ginesini e Fermani, combattuta il 30 novembre 1377), e poi la chiesa di San Francesco (1050), il luogo storico dei grandi comizi popolari e delle assemblee, con un ciclo di affreschi del ‘300 di scuola giottesco-riminese. E ancora il complesso dei Ss. Tommaso e Barnaba (1365), direttamente dipendente dal capitolo Vaticano, un tempo appartenente alla confraternita dei Flagellanti o Disciplinati: la sua storia è scolpita sulle mensole di pietra del portale, dove si leggono i simboli della passione. Il cerchio ideale si chiude con il convento e la chiesa degli Agostiniani, quest’ultima oggi sede dell’auditorium comunale. Al suo interno, dove nel XIII secolo camminava San Nicola da Tolentino, è conservato uno dei quattro organi più antichi d’Europa (1530).
Questa strada sulle tracce della cultura riserva altri mille luoghi, altri capolavori. Si può scegliere di inseguirli oppure si può camminare d’istinto, incontro ad altri passeggiatori solitari, sui sanpientrini che bisogna imparare a conoscere per acquistare un passo sicuro. Ogni tanto, in fondo alle vie o in mezzo alle case di pietra, un balcone naturale scoprirà un panorama maestoso.

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